venerdì 29 aprile 2022

I giardini di marzo, 50 anni di emozioni

 di FRANCESCO TRONCARELLI

I giardini di marzo si vestono di nuovi colori, quante volte abbiamo pronunciato questa frase vedendo la natura che torna a risplendere a primavera. Un'associazione immediata al risveglio delle piante e della vegetazione, grazie a una delle canzoni più belle ed amate di Lucio Battisti.  

"I giardini di marzo" appunto che veniva pubblicato esattamente 50 anni fa e che faceva parte di “Umanamente uomo: il sogno” l'album che inaugurava la felice e prolifica stagione del sodalizio Battisti-Mogol con la nuova etichetta "Numero Uno". 

Il disco usciva il 24 aprile 1972, il giorno successivo alla partecipazione di Battisti a Teatro10 in cui si esibì con Mina in quel duetto entrato nella storia della televisione.

Il brano rappresenta senza dubbio una delle vette creative più alte della produzione della coppia d'oro del nostro pop. Il testo tra quelli autobiografici di Mogol, al secolo Giulio Rapetti, è il più significativo, e racconta la storia di un ragazzo e del suo disagio di vivere, per poi allargare il discorso alle difficoltà esistenziali di una coppia.

i giardini di marzo si vestono di nuovi colori

Nello scriverlo l'autore attinse ai suoi ricordi relativi al difficile periodo del dopoguerra a Milano ed al riguardo ha raccontato: «Mi ricordo il punto esatto dove passava un carretto dove potevamo comprare per 10 lire dei gelati quadrati e due biscotti, mi sembra ancora di vederlo. Quando si era vicini alla fine del mese mia madre non mi dava i soldi, la vita era dura anche per i miei, la situazione economica non era florida".

“Mi stupivo che i fiori sui suoi vestiti non fossero ancora appassiti perché li aveva portati così tante volte (Io pensavo a mia madre /e rivedevo i suoi vestiti” ) che era un miracolo che non fossero sciupati".  

Ancora: "C'erano dei ragazzi che all'uscita di scuola vendevano i loro libri usati, è un fatto vero anche questo, non avevo mai trovato il coraggio di venderli anch’io perché mi sentivo patetico, non so per quale motivo, era un fatto di orgoglio".

Queste immagini del testo, sono momenti che riportano a terra dopo aver volato col sogno, sono flash che riconducono ai fatti pratici della vita che Mogol si rifiutava di vivere, un non voler partecipare alla competizione con gli altri che sentiva come un immiserimento della sua personalità.

Il 45 giri de I giardini di marzo
Nel disco suonano alcuni musicisti che avevano già collaborato con Lucio, come Dario Baldan Bembo, Oscar Prudente, l'ex dei Ribelli Angelo Salvador, Mario Lavezzi e Tony Cicco della Formula 3, ma anche alcuni nuovi arrivi come i chitarristi Massimo Luca ed Eugenio Guarraia che lo avevano accompagnato nel duetto con Mina, il cui apporto per la realizzazione dei vari brani dell'album è stato determinante.

Come ha ricordato infatti il chitarrista Massimo Luca, Battisti arrivava in studio la mattina presto, verso le 9 e faceva sentire il pezzo da registrare ai musicisti, solo con chitarra e voce. Poi gli chiedeva di seguirlo se non aveva già delle idee precise sulle parti, in modo che l’apporto del gruppo diventasse parte integrante del processo creativo.

Dopo avere provato alcune volte “I giardini marzo” l'artista reatino si rese conto che al brano serviva una introduzione strumentale. Aveva in mente qualcosa che richiamasse le atmosfere mediterranee. Accennò con la sua chitarra qualche accordo.
 
Un riff che Massimo Luca rifinì e completò con la sua chitarra a 12 corde suonata imitando il suono di un mandolino. Una genialata, di grande impatto, che poi è diventata l'elemento caratteristico della canzone e quello che la contraddistingue.

Mina e Battisti a Teatro 10
Anche il processo creativo e l’alchimia tra le musiche di Battisti e i testi di Mogol era particolare. «Lucio scriveva solo la musica -ha spiegato Mogol- veniva da me e la suonava continuamente, per ore, finché non avevo composto il testo. Il mio era quasi un atteggiamento medianico, ascoltavo la musica e rovesciavo fiumi di parole sulla carta. A volte, quando avevo terminato mi chiedevo, ma dove sono andato a finire? Mi sembrava di essere uscito fuori tema.
 
"Spesso però era lo stesso Lucio che mi diceva: “Ti sbagli, hai scritto grandi cose”. Per “I giardini di marzo” ero convinto di avere perso il filo del discorso andando per boschi, fiumi e praterie, e poi mi sembrava di essere tornato senza sapere il percorso che avevo compiuto. Ero stordito, smanioso, ma fu proprio Battisti, in quel caso, a dirmi che avevo scritto dei grandi versi».

Uscito il giorno dopo quella serata magica con Mina, in appena un mese, il 27 maggio, "I giardini di marzo" è già al primo posto della Hit Parade di Lelio Luttazzi, restando in vetta alla classifica per ben 7 settimane e risultando alla fine dell'anno il 4° singolo più venduto in Italia nel 1972.

il bandierone con Lucio all'Olimpico     
Da allora questa canzone ha vissuto di luce propria proseguendo il suo cammino oltre il tempo, accompagnando generazioni su generazioni ed emozionando ogni volta che lo si ascolta come fosse la prima volta.
 
Ha assunto poi un valore particolare per i tifosi laziali, che lo hanno fatto loro come un vero e proprio inno da cantare tutte le domeniche all'Olimpico con tanto di sciarpata. Un'emozione incredibile, un momento altamente spettacolare che provoca brividi a non finire.
 
E al tempo stesso il riproporlo è anche un omaggio al Battisti privato, sostenitore discreto della prima squadra della Capitale come il padre Alfiero, in linea col suo essere un artista riservato. Umanamente uomo e biancoceleste nel profondo.  
 
 

venerdì 15 aprile 2022

Titanic, ecco il video dell'epoca

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Tutti conoscono la vicenda del Titanic resa famosa grazie all'omonimo film di James Cameron vincitore di 11 premi Oscar ed interpretato da Leonardo DiCaprio e Kate Winslet.

Le immagini di quel transaltantico britannico ricostruito in studio durante il viaggio inaugurale e il drammatico naufragio, sono impresse nella memoria collettiva al pari della vicenda amorosa fra i due protagonisti della pellicola e alla struggente colonna sonora.

C'è però un filmato originale dell'epoca, girato nei giorni che precedettero il varo e poi la partenza, ovvero 10 aprile 1912, che mostra veramente questa famosa nave da crociera entrata suo malgrado nella storia. 

Un video davvero raro che "racconta" il Titanic prima dell'affondamento, quando tutto sembrava bello e da vivere con entusiasmo e per questo, oltre che per far riflettere, merita di essere conservato negli annali della storia. 

E' un documento eccezionale anche se le riprese non sono perfette e, ovviamente, in linea con quelle a cui siamo abituati oggi. I primi fotogrammi mostrano la maestosa imbarcazione che si prepara a lasciare l'Ormeggio 44 di Southampton nel Regno Unito, con destinazione New York.

C'è l'imbarco dei passeggeri, la folla festante sul molo, poi le passeggiate in coperta, i marinai sulla tolda, la navigazione in mare aperto.

Sono momenti reali di vera serenità che si susseguono uno dopo l'altro, quando nulla faceva presagire il dramma che si sarebbe consumato.

E c'è persino il capitano, il barbuto Edward John Smith al suo ultimo viaggio prima del pensionamento, che rimasto al suo posto come ogni Comandante che si rispetti quando iniziò la tragedia, perì poi nel naufragio avvenuto nella notte tra il 14 e 15 aprile.

E' una visione che ci proietta in un'atmosfera quasi irreale, rarefatta, dove il bianco e nero sembra preannunciare la tragedia di quello che sta per accadere. 

Una situazione incredibile nella sua semplicità, che racconta per davvero quello che accadeva sul Titanic. E' insomma un video che fa viaggiare l'immaginazione e regala emozioni.     

Ed è comunque un documento che resterà per sempre, al contrario del relitto affondato nell'Oceano che sta scomparendo e molto presto non esisterà più. 

Ma potete stare tranquilli però, perchè al momento è ancora visibile tramite visite guidate in immersione per la "modica" cifra di 125 mila dollari a persona, scafandro compreso.

Ecco il filmato originale che è stato restaurato e rimasterizzato

venerdì 1 aprile 2022

Nostalgia Chinaglia

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Quando arrivò la notizia a molti sembrò uno scherzo. Chinaglia? Possibile? L’invincibile guerriero? Era il primo aprile del resto e poteva starci un “pesce” anche se macabro, magari diffuso da qualche stupido buontempone appartenente ad altre sponde del tifo. Ma la notizia, drammatica ed incredibile, era purtroppo maledettamente vera.

Era il primo aprile del 2012, Giorgio Chinaglia se ne era andato all’improvviso, la morte era avvenuta a Naples, un piccolo centro a sud della Florida davanti al Golfo del Messico e nella Roma biancazzurra quel lancio d’agenzia che si era diffuso immediatamente sui social era stato avvertito come un lutto familiare.

Una reazione emotiva ed affettiva naturale per il popolo biancoceleste, perché Giorgio era stato il calciatore più amato dai tifosi, quello che aveva restituito con i suoi gol e la sua voglia di vincere sempre, l’orgoglio di essere laziali, di essere i tifosi della prima squadra della Capitale, quella che aveva portato il calcio e il tifo a Roma.

Chinaglia tanto amato dalla sua gente ma anche il più temuto dagli avversari perché il più forte di tutti, il più grande di tutti, il più laziale di tutti. Era quello infatti che segnava sempre, quello che spezzava le dita ai portieri con le sue bombe da fuori area, quello che trascinava i compagni alla vittoria, quello che li scuoteva quando le cose andavano male in campo, quello che era sempre pronto a combattere col coltello fra i denti.

Quello che portò per mano la squadra alla conquista del suo primo scudetto. Quello che per tutti era Giorgio Chinaglia, il grido di battaglia. L’invincibile guerriero, Long John, Giorgione, l’idolo incontrastato di una piazza ribelle e anticonformista che grazie a lui aveva rialzato la testa dopo anni bui e di altalena con la serie B.

Quello che anche quando perdeva vinceva lo stesso e che quando vinceva stravinceva, sfidando la curva nemica correndo spavaldo sotto la stessa ed esultando all’impazzata come testimoniato dalla splendida foto di Marcello Geppetti che ha fatto il giro del mondo, scattata in quel famoso derby del 31 marzo 1974 vinto da lui e dalla Lazio.

Quello che al cinema, agli sberleffi e alle offese dei tifosi avversari, replicava a suon di cazzotti. Quello che andava a dormire con gli scarpini ai piedi. Quello che non faceva finire gli allenamenti al campo di Tor di Quinto finchè la sua formazione non batteva la rivale. 

Quello che i rigori li doveva battere sempre e solo lui, come l’indimenticabile e storico penalty tirato il 12 maggio del 1974, che assegnò il tricolore alla banda Maestrelli e fece diventare un sogno realtà. Giorgio Chinaglia per sempre. Il grido di battaglia ieri, oggi, domani. 

Un amore infinito che ha superato la generazione di riferimento, una lunga, bella e anche tormentata storia d’amore che non ha subito crisi e tradimenti di sorta. Mai. E non poteva essere diversamente, perché nessuno è stato come lui, nessuno ha fatto quello che ha fatto lui e soprattutto perché nessuno ha smesso di volergli bene.

Tutti hanno sempre amato Long John a prescindere. Perché era Chinaglia, Giorgio Chinaglia, il numero uno, senza se e senza ma. Nella storia ultracentenaria della prima squadra della Capitale, mai nessuno è stato come lui. Lui è stato il più grande di tutti. Anche di chi è stato migliore tecnicamente o ha segnato più reti. 

Lui era un'altra cosa. Un simbolo, un eroe sportivo, un trascinatore. Non un semplice calciatore seppur capace di magie sul campo o magari col fiuto del gol. Era molto di più, era Giorgio Chinaglia, un tornado che spazzava via avversari e chi si metteva di traverso per ostacolare la Lazio, rendendo orgogliosa una tifoseria di appartenere a una comunità.

Ecco perchè ogni volta che ricorre il 1 aprile la nostalgia aumenta, perchè i ricordi si fanno più intensi e la mente va a tutto quello che "l'invicibile guerriero" ha fatto per la Lazio sul campo, con i suoi assalti, le sue cavalcate, i suoi gol, le sue imprese.

Sono passati dieci anni dalla sua scomparsa e da allora non è cambiato niente perchè l'amore nei suoi confronti è rimasto immutato. Un amore infinito trasmesso da padre in figlio. Perché lui era Chinaglia, Giorgio Chinaglia, il grido di battaglia di un popolo intero. 

Gala per Peppino di Capri al Trianon

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