La storia della Lazio non può prescindere dai suoi tifosi. Sempre presenti nel bene e nel male per sostenere l'Aquila. Tutto iniziò sul Muretto della Curva negli anni di Chinaglia con il CML, il primo gruppo organizzato nei 120 anni di vita del sodalizio biancoceleste
Formidabili quegli anni. Le radio private non trasmettevano ancora, di telefonini neanche a parlarne, eppure il tam tam virtuale fra i tifosi della città funzionava ugualmente e così ogni domenica il “tutti allo stadio”, trovava sugli spalti dell’Olimpico la più ampia conferma. In modo speciale in curva, dove se non andavi tre ore prima l’inizio della partita, il posto buono te lo sognavi e ti dovevi adattare agli scomodissimi posti in piedi, quelli “sotto il livello del mare”, nel parterre.
Così all’apertura dei cancelli, c’erano già due-trecento persone pronte all’assalto, per conquistare il “Muretto” della Curva Sud, il penultimo balconcino della gradinata alta verso la Monte Mario per intenderci, da dove si dava il la al tifo e di conseguenza la sveglia allo stadio.
Curva Sud, avete letto bene, perché a quei tempi, negli anni Settanta, nell’ambito delle due tifoserie della Capitale, non c’era distinzione fra le curve. La Sud apparteneva a tutti e veniva occupata di volta in volta dai sostenitori della Lazio o della Roma, a seconda di chi giocasse in casa.
Questo perché nel vecchio Olimpico, quello “originale”, arioso e senza copertura che è esistito fino ai Mondiali di Italia 90, nella Sud si aveva il privilegio e la possibilità di incitare subito i propri beniamini e conseguentemente di farsi sentire da quelli avversari, in quanto le squadre che provenivano dagli spogliatoi, uscivano direttamente sotto la Sud dopo aver percorso un lungo corridoio interno.
La Sud rivestiva quindi una posizione strategica che le consentiva automaticamente di ergersi come unica ed indiscussa “depositaria” del tifo. Ecco perché è qui, in questo settore, che nascono i primi gruppi organizzati dell’Aquila ed è qui che i fedelissimi conquistano sugli spalti lo Scudetto al pari di Chinaglia e soci sul campo.
Il Muretto dà il la al tifo all'entrata in campo della squadra |
Nello stadio così, la partita si cominciò a vivere con un altro spirito, frutto della partecipazione in prima persona all’evento sportivo, in linea e sulla scia di quel vento riformatore messo in moto dal ’68, quel movimento riformista e al tempo stesso ribellista, che aveva avuto ampie ripercussioni nella società, nel mondo del lavoro, nella scuola e nella politica. E nello stadio, appunto.
Tanti giovani, anzi giovanissimi, entrarono nel giro del tifo in quegli anni di cambiamenti epocali, con l’entusiasmo e l’irruenza tipica della loro età, mettendo in moto un meccanismo che nel giro di qualche anno fece diventare la Curva laziale, una curva forte e compatta, temuta e rispettata, anticonformista (dato il vento giallorosso che spirava nella città) e vincente.
Fu un percorso non privo di ostacoli, perché tutto sommato il tifo a favore della società che ha portato il calcio a Roma esisteva da sempre, ma era troppo datato, nei modi e nei comportamenti. Esistevano infatti i “vecchi” Circoli, poi diventati con termine più moderno, Lazio Club, che svolgevano la funzione di punto di riferimento e ritrovo sul territorio, urbano e provinciale, dei sostenitori della squadra biancazzurra.
la Lazio 1971-72 |
Del resto la Lazio con i suoi campioni ed il suo gioco, faceva sognare la gente, collezionando successi e risultati positivi a raffica come non mai, logico quindi e anche inevitabile lo starle vicino nel miglior modo possibile. questo contesto di partecipazione, il “Muretto” rivestiva un ruolo fondamentale.
Da lì nasceva tutto. Da lì si dettava la linea. Si decideva cosa fare, come tifare, quando cantare, quando fischiare. E quando agire. Dieci posti ambitissimi distribuiti sulla lunghezza di cinque metri del balconcino, ad esclusivo appannaggio dei capi riconosciuti come tali per militanza e creatività.
Come dire duri e puri e addetti al marketing. Poi, a seguire nelle cinque file successive a salire e in quelle ai lati del balconcino della gradinata alta della curva, lo zoccolo duro dei sempre presenti, il cosiddetto “blocco degli aficionados”. Un migliaio di persone che non mancavano mai, composto da nuove leve del tifo di ogni estrazione sociale e da quelli della vecchia guardia, ossia personaggi che negli anni Sessanta avevano fatto il quarantotto contro l’arbitro Rigato (per il famoso gol di Seghedoni annullato a Lazio-Napoli) o avevano partecipato a epiche scazzottate ai derby coi romanisti.
Pioggia o vento, sole o austerity (nel ’74 il Governo decretò il blocco della circolazione di tutti gli autoveicoli per la crisi energetica), i fedelissimi erano sempre là, al loro posto, al servizio della Lazio e a stimolare con la loro passione tutti gli altri. A fare da collante di questo settore caldo, il CML, il gruppo che da solo garantiva più della metà del “blocco” e che avrebbe cambiato i giochi, con la sua irruenza giovanile.Commandos Monteverde Lazio, come dire, quelli che hanno portato il tifo in curva.
un lancio di Agenzia: funerale alla Roma dei tifosi laziali |
Eskimo verde (il giaccone stile militare col cappuccio e la cintura in vita di moda fra gli studenti contestatori) o maxicappotto con ampi revers e i collettoni acquistati nei negozi intorno a via dei Giubbonari o a via del Corso, pantaloni a vita alta e a zampa d’elefante, pullover attillati e maglioni dolce vita, capello lungo e tirato tipo Pooh o arruffato come Lucio Battisti, borsa di tolfa a tracollo dove custodire panini, lattine e zuccotti di lana biancazzurri,foulard da annodare sulla fronte a mo’ di apache e qualche botto avanzato a Capodanno
I ragazzi di Monteverde partivano dalla sede in via degli Orti Gianicolensi con il loro mitico striscione lungo ventidue metri (record imbattuto per il vecchio Olimpico) dal colore blu notte e i caratteri cubitali bianchi con al centro la coccarda tricolore della Coppa Italia, unico trofeo vinto fino a quel momento in settant’anni di storia dalla prima squadra della Capitale e si dirigevano a piazza San Giovanni di Dio, per il concentramento dei supporters diretti allo stadio al capolinea del 28.
I Cml a Firenze |
Oppure: “E quando il gol, arriverà, tutto lo stadio esploderà e la gente biancazzurra, tutta insieme strillerà:Giorgio gol, Giorgio gol”, che faceva riferimento all’intramontabile blues americano "When the saints", o ancora il più travolgente per esecuzione e coinvolgimento generale dei curvaroli “Nel tuo piede c’è soltanto dinamite, oh-oh-oh/ quando segni la tua Curva salta in aria, oh-oh-oh/ Long John, laralallala, Long John, oh yeah…”, rivisitazione del successo dei Delirium di Ivano Fossati, "Jesahel".
Long John in copertina |
Il Tassinaro accoglie Giorgione di ritorno da San Siro |
E quando Luciano nel silenzio più assoluto iniziava a declamare la formazione della Lazio, un brivido saliva lungo la schiena dei fedelissimi che allo stentoreo “Pulici…”, rispondevano a piena voce “Oleeeè!”.
Poi il testimone della lettura delle formazioni passò al Tassinaro, leader emergente che proveniva dalle nuove leve. E fu l’apoteosi. Con mezza curva in piedi per partecipare con orgoglio a quel rito, che veniva esaltato coreograficamente dal lancio di coriandoli, ricavati in quantità industriale, dalle copie dei giornali distribuiti gratuitamente allo stadio come Lancio.
Uno spettacolo. Che sarebbe continuato di lì a poco, “più forte e più superbo che pria”, al comparire dei nostri eroi sotto la curva, pronti per la battaglia sul campo. Insomma il famoso “voi con il cuore, noi con la voce”.
No, le radio private ancora non c’erano, di telefonini neanche a parlarne, i canali in tivù erano solo due e trasmettevano in bianco e nero, ma la passione per la Lazio era ugualmente tanta e in quel calcio a misura d’uomo e non di sponsor firmato Lenzini e Maestrelli, l’Olimpico era sempre pieno. E non ci si stancava mai di tifare. Formidabili quegli anni. Quelli dell'inizio del tifo, parte integrante e fondamentale della Storia della prima squadra della Capitale dal 1900.
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