di FRANCESCO TRONCARELLI
La storia della Lazio non può prescindere dai suoi tifosi. Sempre presenti nel bene e nel male per sostenere l'Aquila. Tutto iniziò sul Muretto della Curva negli anni di Chinaglia con il CML, il primo gruppo organizzato nei 120 anni di vita del sodalizio biancoceleste
Formidabili
quegli anni. Le radio private non trasmettevano ancora, di telefonini
neanche a parlarne, eppure il tam tam virtuale fra i tifosi della città
funzionava ugualmente e così ogni domenica il “tutti allo stadio”,
trovava sugli spalti dell’Olimpico la più ampia conferma. In modo
speciale in curva, dove se non andavi tre ore prima l’inizio della
partita, il posto buono te lo sognavi e ti dovevi adattare agli
scomodissimi posti in piedi, quelli “sotto il livello del mare”, nel
parterre.
Così all’apertura dei cancelli, c’erano già
due-trecento persone pronte all’assalto, per conquistare il “Muretto”
della Curva Sud, il penultimo balconcino della gradinata alta verso la
Monte Mario per intenderci, da dove si dava il la al tifo e di
conseguenza la sveglia allo stadio.
Curva Sud, avete letto bene,
perché a quei tempi, negli anni Settanta, nell’ambito delle due
tifoserie della Capitale, non c’era distinzione fra le curve. La Sud
apparteneva a tutti e veniva occupata di volta in volta dai sostenitori
della Lazio o della Roma, a seconda di chi giocasse in casa.
Questo
perché nel vecchio Olimpico, quello “originale”, arioso e senza
copertura che è esistito fino ai Mondiali di Italia 90, nella Sud si
aveva il privilegio e la possibilità di incitare subito i propri
beniamini e conseguentemente di farsi sentire da quelli avversari, in
quanto le squadre che provenivano dagli spogliatoi, uscivano
direttamente sotto la Sud dopo aver percorso un lungo corridoio interno.
La
Sud rivestiva quindi una posizione strategica che le consentiva
automaticamente di ergersi come unica ed indiscussa “depositaria” del
tifo. Ecco perché è qui, in questo settore, che nascono i primi
gruppi organizzati dell’Aquila ed è qui che i fedelissimi conquistano
sugli spalti lo Scudetto al pari di Chinaglia e soci sul campo.
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Il Muretto dà il la al tifo all'entrata in campo della squadra |
Proprio
in quegli anni infatti, quelli del raggiungimento di un sogno
impossibile grazie alla banda Maestrelli, il tifo biancoceleste subì una
metamorfosi fondamentale, passando dallo spontaneismo caciarone che
aveva segnato gli anni Sessanta alla militanza organizzata, che avrebbe
dato una svolta a tutto un ambiente.
Nello stadio così, la partita
si cominciò a vivere con un altro spirito, frutto della partecipazione
in prima persona all’evento sportivo, in linea e sulla scia di quel
vento riformatore messo in moto dal ’68, quel movimento riformista e al
tempo stesso ribellista, che aveva avuto ampie ripercussioni nella
società, nel mondo del lavoro, nella scuola e nella politica. E nello
stadio, appunto.
Tanti giovani, anzi giovanissimi, entrarono nel
giro del tifo in quegli anni di cambiamenti epocali, con l’entusiasmo e
l’irruenza tipica della loro età, mettendo in moto un meccanismo che nel
giro di qualche anno fece diventare la Curva laziale, una curva forte e
compatta, temuta e rispettata, anticonformista (dato il vento
giallorosso che spirava nella città) e vincente.
Fu un percorso
non privo di ostacoli, perché tutto sommato il tifo a favore della
società che ha portato il calcio a Roma esisteva da sempre, ma era
troppo datato, nei modi e nei comportamenti. Esistevano infatti i
“vecchi” Circoli, poi diventati con termine più moderno, Lazio Club, che
svolgevano la funzione di punto di riferimento e ritrovo sul
territorio, urbano e provinciale, dei sostenitori della squadra
biancazzurra.
Qui, tra una partita di briscola e una di scopetta, si
allestivano le trasferte al seguito della squadra, le famose “carovane
biancocelesti” e i cosiddetti treni speciali e sporadicamente, incontri
conviviali con i giocatori della prima squadra.
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la Lazio 1971-72 |
Ma "The times they
are a changin", i tempi stavano cambiando, come aveva annunciato a tutto
il mondo il menestrello del rock Bob Dylan e perciò anche sugli spalti
dell’Olimpico dal classico e coinvolgente “Lazio cha-cha-cha”,
accompagnato dal battito scandito delle mani che sembrava il massimo in
fatto di sostegno alla squadra, si sarebbe passati agli slogan lanciati
in coro, alle canzoni cantate tutti insieme, agli striscioni
personalizzati ed ai tamburi per cadenzare ritmi e tempi. Alla vera
organizzazione del tifo insomma.
Del resto la Lazio con i suoi
campioni ed il suo gioco, faceva sognare la gente, collezionando
successi e risultati positivi a raffica come non mai, logico quindi e
anche inevitabile lo starle vicino nel miglior modo possibile.
questo contesto di partecipazione, il “Muretto” rivestiva un ruolo
fondamentale.
Da lì nasceva tutto. Da lì si dettava la linea. Si
decideva cosa fare, come tifare, quando cantare, quando fischiare. E
quando agire. Dieci posti ambitissimi distribuiti sulla lunghezza di
cinque metri del balconcino, ad esclusivo appannaggio dei capi
riconosciuti come tali per militanza e creatività.
Come dire duri e puri
e addetti al marketing. Poi, a seguire nelle cinque file successive a
salire e in quelle ai lati del balconcino della gradinata alta della
curva, lo zoccolo duro dei sempre presenti, il cosiddetto “blocco degli
aficionados”. Un migliaio di persone che non mancavano mai, composto da
nuove leve del tifo di ogni estrazione sociale e da quelli della vecchia
guardia, ossia personaggi che negli anni Sessanta avevano fatto il
quarantotto contro l’arbitro Rigato (per il famoso gol di Seghedoni
annullato a Lazio-Napoli) o avevano partecipato a epiche scazzottate ai
derby coi romanisti.
Pioggia o vento, sole o austerity (nel ’74 il
Governo decretò il blocco della circolazione di tutti gli autoveicoli
per la crisi energetica), i fedelissimi erano sempre là, al loro posto,
al servizio della Lazio e a stimolare con la loro passione tutti gli
altri. A fare da collante di questo settore caldo, il CML, il
gruppo che da solo garantiva più della metà del “blocco” e che avrebbe
cambiato i giochi, con la sua irruenza giovanile.Commandos
Monteverde Lazio, come dire, quelli che hanno portato il tifo in curva.
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un lancio di Agenzia: funerale alla Roma dei tifosi laziali |
Sì perché questo sodalizio storico, è stato in assoluto il primo gruppo
giovanile organizzato che si è costituito a Roma (14 novembre 1971)
nell’ambito delle due tifoserie capitoline (i Boys giallorossi sono del
’72!), nato appunto per sostenere la Lazio scoppiettante di Juan Carlos
Lorenzo con i vari Morrone e Governato e naturalmente Wilson e
Chinaglia,
I CML avevano accompagnato la Lazio nella risalita in
serie A, portando fantasia e freschezza sugli spalti e lanciando tra
l’altro la moda dei bandieroni e della “spallata” (una sorta di ola ante
litteram), erano via via cresciuti al pari della squadra ed ora erano
pronti a diventare grandi come lei.
Eskimo verde (il giaccone
stile militare col cappuccio e la cintura in vita di moda fra gli
studenti contestatori) o maxicappotto con ampi revers e i collettoni
acquistati nei negozi intorno a via dei Giubbonari o a via del Corso,
pantaloni a vita alta e a zampa d’elefante, pullover attillati e
maglioni dolce vita, capello lungo e tirato tipo Pooh o arruffato come
Lucio Battisti, borsa di tolfa a tracollo dove custodire panini, lattine
e zuccotti di lana biancazzurri,foulard da annodare sulla fronte a
mo’ di apache e qualche botto avanzato a Capodanno
I ragazzi di Monteverde partivano
dalla sede in via degli Orti Gianicolensi con il loro mitico striscione
lungo ventidue metri (record imbattuto per il vecchio Olimpico) dal
colore blu notte e i caratteri cubitali bianchi con al centro la
coccarda tricolore della Coppa Italia, unico trofeo vinto fino a quel
momento in settant’anni di storia dalla prima squadra della Capitale e
si dirigevano a piazza San Giovanni di Dio, per il concentramento dei
supporters diretti allo stadio al capolinea del 28.
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I Cml a Firenze |
Una volta arrivati
all’Olimpico, l’abbraccio ai cancelli con gli altri "correligionari" e
via, tutti dentro ai posti di combattimento. E a quel punto iniziava lo
spettacolo del tifo. Si cominciava con la coreografica sfilata dei
bandieroni. Le bandiere più grandi (anche quattro metri per quattro!)
sostenute da robuste e lunghissime canne da pesca, venivano esibite e
sventolate lentamente nel parterre della curva, tra gli applausi di chi
stava sugli spalti.
Seguiva il corteo interno, che all’occorrenza si
trasformava in funerale della squadra avversaria con tanto di bara
avvolta dalla relativa bandiera di riferimento, accompagnato da tifosi
che avevano con sé tamburi, grancassa e trombe. A guidare il tutto era
il mitico Leonida, un anziano tifoso col mantello e i lunghi capelli
bianchi che lo facevano tanto un santone, che aveva girato l’Italia in
lungo e in largo per seguire la Mitica ed era stato più volte
intervistato e ripreso nell’esercizio delle sue funzioni dagli operatori
del telegiornale.
Scaldato l’ambiente, si passava ai canti, con
canzoni di successo (l’industria discografica a quei tempi viveva ancora
il suo boom), che erano state rielaborate nei giorni precedenti le
partite nel “pensatoio” degli Orti Gianicolensi, nella sede dei CML cioè
e che venivano lanciate di volta in volta allo stadio. Tipo, per
ricordarne qualcuna, il “Vincerà, la Lazio vincerà/ e la Roma in B,
presto se ne andrà/ sarà come il Brasile di Pelè/ Chinaglia, Wilson,
Ghio alè…”, versione riveduta e corretta de "L’Arca di Noè" di Sergio
Endrigo che aveva trionfato a San Remo.
Oppure: “E quando il gol,
arriverà, tutto lo stadio esploderà e la gente biancazzurra, tutta
insieme strillerà:Giorgio gol, Giorgio gol”, che faceva riferimento
all’intramontabile blues americano "When the saints", o ancora il più
travolgente per esecuzione e coinvolgimento generale dei curvaroli “Nel
tuo piede c’è soltanto dinamite, oh-oh-oh/ quando segni la tua Curva
salta in aria, oh-oh-oh/ Long John, laralallala, Long John, oh yeah…”,
rivisitazione del successo dei Delirium di Ivano Fossati, "Jesahel".
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Long John in copertina |
Poi
c’erano gli slogan, di gran moda in quei tempi di “contestazione al
sistema” come si diceva negli ambienti studenteschi e politicizzati, che
scimmiottavano, ma “pro Lazio”, quelli più diffusi che minacciosamente
risuonavano nei cortei. Due i più noti: “Giorgio Chinaglia è il grido di
battaglia”, e il classico Wilson-Chinaglia-Re Cecconi, alla Lazio lo
scudetto e la Coppa dei Campioni, che per anni è stato urlato in tutti
gli stadi d’Italia..
Il momento topico di quello spettacolo fatto
di novità al passo coi tempi e folklore consolidato, che andava in onda
ogni domenica tra colazioni al sacco a base di panini con la mortazza,
lattine di coca cola e mandarini e arance, sempre utili per essere
lanciati nei momenti di rabbia e tensione verso il campo però, era la
lettura della formazione.
Un vero e proprio rito, che veniva vissuto con
fierezza e scaramanticamente da tutti i partecipanti, una testimonianza
d’appartenenza ai colori biancocelesti e al tempo stesso di
attaccamento ai giocatori che quei colori con grinta difendevano sul
rettangolo da gioco.
Cerimoniere ufficiale del rito, Luciano, il
grande, indimenticabile Luciano, l’equivalente del capo tifoso Dante per
la curva giallorossa. Uomo d’azione (a Livorno, da solo, difese un
bambino con la bandiera biancoceleste dal vigliacco assalto di alcuni
livornesi) ma anche di spirito, perché al di là del suo lavoro come
monnezzaro, oggi si sarebbe chiamato operatore ecologico, era un
cantante e ballerino mancato.
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Il Tassinaro accoglie Giorgione di ritorno da San Siro |
I suoi passi di danza in un equilibrio
sempre più precario per qualche bicchiere di troppo, in piedi sul
“Muretto”, immortalati in “Ultimo mambo all’Olimpico”, il film che ho
girato su quegli anni e l’esecuzione della canzone “Marina”, con la
curva che ondeggiava come nei concerti Baglioni o Vasco Rossi cantando
appresso a lui il ritornello di quel brano di Rocco Granata, sono la
testimonianza più genuina di una Curva spettacolare nel vero senso della
parola.
E quando Luciano nel silenzio più assoluto iniziava a
declamare la formazione della Lazio, un brivido saliva lungo la schiena
dei fedelissimi che allo stentoreo “Pulici…”, rispondevano a piena voce
“Oleeeè!”.
Poi il testimone della lettura delle formazioni passò
al Tassinaro, leader emergente che proveniva dalle nuove leve. E fu
l’apoteosi. Con mezza curva in piedi per partecipare con orgoglio a
quel rito, che veniva esaltato coreograficamente dal lancio di
coriandoli, ricavati in quantità industriale, dalle copie dei giornali
distribuiti gratuitamente allo stadio come Lancio.
Uno spettacolo. Che sarebbe continuato di lì a
poco, “più forte e più superbo che pria”, al comparire dei nostri eroi
sotto la curva, pronti per la battaglia sul campo. Insomma il famoso
“voi con il cuore, noi con la voce”.
No, le radio private ancora
non c’erano, di telefonini neanche a parlarne, i canali in tivù erano
solo due e trasmettevano in bianco e nero, ma la passione per la Lazio
era ugualmente tanta e in quel calcio a misura d’uomo e non di sponsor
firmato Lenzini e Maestrelli, l’Olimpico era sempre pieno. E non ci si
stancava mai di tifare. Formidabili quegli anni. Quelli dell'inizio del tifo, parte integrante e fondamentale della Storia della prima squadra della Capitale dal 1900.