Questo e molto altro è stato il tricolore conquistato dalla Prima squadra della Capitale il 14 maggio del 2000, nell'anno del Centenario e di una città in festa perenne per i propri beniamini e per le loro vittorie, tra cortei di gioia alternati a marce di protesta senza soluzione di continuità nel corso di un campionato giocato all'attacco e con il grande risultato finale come premio per tutti.
Uno scudetto emozionante, il più lungo della storia del calcio, arrivato nel terzo tempo quando tutto era già finito negli altri campi e tutti erano incollati alle radioline per sapere come andava a finire mentre l'Olimpico occupato persino sul terreno di gioco attendeva trepidante il risultato da Perugia.
La Lazio infatti aveva fatto il suo dovere sino in fondo asfaltando la Reggina con tre gol siglati da Inzaghi, Veron e Simeone. La lunga ricorsa sulla Juve inziata con un distacco di sei punti prima della sfida vinta il primo aprile al Delle Alpi con un colpo di testa magico di Simeone, era giunta al capolinea.
Due i punti che dividevano la capolista, quella Vecchia Signora da sempre ammanicata col potere dalla Lazio, la società guidata da Sergio Cragnotti che voleva dire la sua contrastando quel potere per vincere solo con la forza dei suoi giocatori. Un'impresa, come quello che era successo la domenica precedente aveva dimostrato. Ricordate?
La penultima giornata infatti aveva scatenato polemiche furiose. La Lazio vince a Bologna contro i due ex Andersson e Signori (la partita finisce 3-2) e la Juventus batte il Parma per 1-0. Nell’occasione torna al gol Del Piero, ma non è quello lo scandalo.
Lo scandalo al sole che tutti vedono meno che uno, è un rigore non concesso agli emiliani e soprattutto un gol annullato al Parma al minuto 89, grazie al quale la Lazio avrebbe raggiunto la capolista a 69 punti.
Una decisione così ingiustificata da parte dell’arbitro (lo stacco di testa di Cannavaro appare a tutti più che regolare) scatena l’ira generale e per una volta tifosi e stampa urlano “vergogna” all’unisono. Forse basterebbe una voce umile e autorevole, quella del mister Carlo Ancelotti, a placare le polemiche, ma non c'è la volontà.
Anzi, a esacerbare gi animi ci penserà il Direttore generale bianconero Luciano Moggi. Le sue parole e quel tono arrogante che gli è abituale gettano benzina sul fuoco. Basta non se ne può più. C'è il rischio del biscotto per la Mitica dopo lo scudetto perso per un punto nella stagione precedente.
La piazza biancoceleste allora si mobilitò, venne organizzato un sit in a via Allegri sotto la sede della Federazione gioco calcio, una protesta pacifica che poi degenerò in incidenti, traffico impazzito, cariche della polizia. Scene incredibili non certo volute da chi voleva solo gridare il proprio sedegno per quello che era successo.
Il 14 maggio dunque si era arrivati al redde rationem, la Lazio (entrata in campo con mezza curva Nord vuota per l'ennesima protesta al grido de "Il calcio è morto") il suo l'aveva fatto, bisognava vedere cosa sarebbe successo al Curi fra i perugini e la Juventus.
Quella domenica in cui si concludeva il campionato, su tutta l’Italia il tempo era buono. Solo sulla zona di Perugia si addensano nuvole minacciose. Anzi, per dirla tutta, sul capoluogo umbro ancora splendeva il sole. Gli addensamenti nuvolosi riguardavano soltanto Pian di Massiano, la zona extraurbana sulla quale sorge lo Stadio Renato Curi.
L’arbitro Collina, un fischietto con la schiena dritta, dopo l'inevitabile attesa e le dovute prove per constatare che il pallone rimbalzi, ritiene che si possa giocare. E così alle 17.11, quando Lazio-Reggina è già finita, a Perugia inizia la ripresa.
Nel momento in cui la palla viene portata al centro del campo, Lazio e Juventus hanno entrambe 72 punti e solo lo spareggio potrebbe dare un nome alla squadra campione d’Italia. Ma al 4°, avviene la svolta.
Punizione di Rapaic, Conte fallisce in piena area la respinta e consegna la palla sui piedi del capitano perugino Calori. Il difensore tira di prima intenzione e infila nell'angolino alla destra di Van der Sar.
L'Olimpico che è collegato tramite gli altoparlanti alla radiocronaca della partita che tutta l'Italia sta seguendo, esplode in un boato assordante, qualcuno fra i tifosi storici, lo paragonerà a quello udito a Lazio-Milan vinta al 90° nel 1973 con un gran gol di Re Cecconi.
Ora la classifica dice Lazio 72, Juventus 71. Fare gioco su quella superficie non è semplice ma se può farlo il Perugia, possono farlo anche i loro avversari. I bianconeri tentano il tutto per tutto, mentre a Roma l’Olimpico, dopo il boato di felicità per il gol di Calori, si è trasformato in luogo di preghiera.
Comunione (d'intenti) e liberazione (dai torti subìti). In campo ci sono migliaia di tifosi scesi dalle tribune per una invasione simbolica, sugli spalti a quelli che hanno assistito alla partita si sono aggiunti i tifosi che stavano a casa per patecipare a questa attesa incredibile ed emozionante. I 70 mila dell'inizio delle ostilità sono via via diventati 80 mila.
Tuti sono concentarti, tesi, in silenzio ascoltano quello che sta succedendo sul campo del Perugia. Con la mente e il cuore sono a 200 km di distanza. Sull’ultimo assalto bianconero, con Pippo Inzaghi che mette fuori da pochi metri la palla del possibile spareggio, per un attimo scende il gelo, seguito poi da un urlo liberatorio.
Su quell’errore clamoroso l’arbitro fischia la fine e immediatamente il radiocronista Riccardo Cucchi annuncia: "Mentre in questo istante Collina dichiara concluso il confronto: sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio del 2000, la Lazio è Campione d’Italia 1999-2000, la Juventus è stata battuta per 1-0 a Perugia dalla squadra di Carletto Mazzone. Linea all’Olimpico”.
E' l'apotesosi. Per squadra e tifosi è una gioia più violenta di un pugno in pieno volto, più inaspettata della schedina vincente del Superenalotto milionario. Tutti esultano, molti si abbracciano, qualcuno piange. L'euforia è inarrestabile.
È la vittoria della tenacia, della giustizia, della fede in un Dio ("Dio es del Lazio titola la stampa estera) che ogni tanto si ricorda di esistere per mandar giù la pioggia purificatrice come nel finale dei Promessi sposi di Manzoni, per sanificare un campionato al centro dei peggiori sospetti e renderlo puro. Una volta al secolo, alla Lazio succede anche questo.
"Sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio del 2000 la Lazio è Campione d'Italia", parole entrate nella storia della Prima squadra della Capitale che sancivano la fine di un campionato incredibile conclusosi con la rocambolesca e meritata vittoria dei ragazzi Sven Goran Eriksson, "il perdente di successo" secondo certa stampa romana.
Una giornata di autentica passione per i tifosi biancocelesti, un trionfo figlio di una squadra stellare che con forza e determinazione riuscì a raggiungere un traguardo che resterà per sempre negli annali del Calcio italiano e che oggi venti anni dopo procura una tremenda nostalgia e una rinnovata emozione al solo pensiero. Sì, quel 14 maggio del 2000 è stato meraviglioso e resterà per sempre nella memoria collettiva della gente laziale.