domenica 14 aprile 2024

Frustalupi, la mente dello Scudetto

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Di quella banda di scapestrati che giocava a pallone come nessun altro mai era la mente, in tutti i sensi. Alle pistole che i suoi compagni usavano come passatempo, preferiva la lettura dei giornali e dei libri, per essere sempre aggiornato e conoscere nuove cose.

Mario Frustalupi che ci lasciava un 14 aprile come oggi del 1990 in un drammatico incidente automobilistico in quella Italia in viaggio per le vacanze pasquali, era il cervello della Lazio di Maestrelli, il regista che sapeva cosa fare con i suoi piedi fatati per guidare la squadra alla vittoria.

E pensare che quando Antonio Sbardella lo aveva portato a Roma molti storsero il naso. E' vecchio dicevano, alludendo ai suoi 32 anni che lo facevano il giocatore più anziano della rosa, è al capolinea, sottolineava qualcun altro.

Era arrivato in cambio di un idolo della tifoseria, Giuseppe Massa e questo era difficile per molti da digerire. Gli inzi poi non furono fra i migliori, quella Lazio arrancava in Coppa Italia e lui non riusciva ad emergere scontrandosi nel ruolo di centrocampista con Re Cecconi, pallino di Maestrelli.


Un copione già visto quando giocava nell'Inter col dualismo con l'inamovibile Sandro Mazzola, da cui usciva puntualmente sconfitto nonostante buone prestazioni e il contributo alla conquista del Tricolore per i nerazzurri.
 
Fu proprio il Maestro però a trovare la quadra arretrando Cecco Netzer e affidando al Frusta le chiavi della squadra, nominadolo sul campo ufficialmente regista del suo progetto. E le cose cominciarono a funzionare.
 
Il campionato 1972/73 vede i biancocelesti giocare un calcio divino e letale per gli avversari. La banda Maestrelli va addirittura in testa e, seppure con un piccolo calo nella parte centrale del torneo, infila otto vittorie consecutive.

La Lazio sfiora lo scudetto che viene perso negli ultimi minuti dell'ultima giornata di campionato a Napoili fra una fatal Verona per il Milan e una Roma che si arrende alla Juve. Frustalupi ormai è un idolo della gente laziale.
I tifosi ne apprezzano la serietà e la visione di gioco, gli addetti ai lavori le qualità tecniche. Segna anche 2 reti. L'anno successivo la Lazio conquista il suo primo scudetto e Frustalupi è il cervello, la mente, il regista di quel calcio all'olandese praticato dalla Lazio di Maestrelli e di cui Chinaglia è il terminale offensivo, che va in rete anche grazie ai suoi assist.

E' campione d'Italia ad un'età in cui molti suoi colleghi hanno già da tempo preso il viale del tramonto o hanno appeso gli scarpini al chiodo. Mario Corso suo compagno all'Inter, dopo lo scudetto del 12 maggio 1974 afferma:

"Quando Frustalupi venne ingaggiato dalla Lazio, io ho sostenuto che quello sarebbe stato, a lungo andare, il più importante colpo del mercato. Adesso credo che siano tutti a darmi ragione. Ma io non sono un indovino, sono uno che il calcio lo conosce abbastanza per poter definire Frustalupi un campione".

Dal suo canto l'orvietano Mario si diceva invece "contento di non essere un campione, un bambino prodigio alla Rivera o alla Mazzola. Loro -spiegava- hanno dovuto difendere per anni una reputazione da fuoriclasse. È difficile e logorante. Io sono cresciuto piano piano e ho avuto meno stress. Durerò molto più a lungo".

E aveva ragione perchè smetterà di illuminare il gioco ai suoi compagni, alla bella età di 39 anni dopo essersi preso la soddisfazione di portare il Cesena (dove giocava con Giancarlo Oddi) in coppa Uefa e trascinare la Pistoiese (con Borgo altro ex laziale) in serie A.

Spirito allegro e con la battuta pronta, aveva sempre voglia di scherzare, anche con i tifosi al campo d'allenamento di Tor di Quinto: "Ridete oggi che piangerete domenica" diceva loro.

Nei rapporti interni aveva carisma e non si intrometteva nelle faide tra clan di quella banda di scalmanati e spesso, grazie alla sua capacità di sdrammatizzare, era quello che spegneva i contrasti con la sua proverbiale ironia.

Capelli lunghi nonostante una calvizia incipiente, basettoni, pantaloni a zampa d'elefante, un sorriso contagioso appena arrivato alla Lazio aveva litigato con Chinaglia, per poi diventarne amico apprezzandone le qualità techiche e la sua fanciullesca passione per il gol.

A Tor di Qinto così, rivolgendosi ai tifosi che lo applaudivano a ogni giro di campo, prometteva che gli avrebbe fatto segnare almeno 100 reti tra gli applausi e le risate generali.

Al caro Frusta, nonostante fosse stato messo alla porta dalla rivoluzione (fallita) di Corsini, la Lazio era rimasta nel cuore. Non a caso fu lui anni dopo, dirigente della Pistoiese ed esperto di calcio, a consigliare alla società biancoceleste Ruben Sosa.

Ed ironia del destino, mentre quel 14 aprile 1990 arrivava la tragica notizia dell'incidente mortale sulla autostrada Voltri-Sempione, il puntero uruguagio segnava per la Lazio all'Ascoli nella partita che si giocava al Flaminio. Il cerchio si chiudeva così mestamente.




 

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